Incontinenza urinaria: il ruolo della menopausa
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La prevalenza dell’incontinenza urinaria femminile aumenta con l’età:1 una revisione pubblicata nel 2021 e condotta su 29 studi per un totale di 518.465 donne di età compresa tra i 55 e i 106 anni ha rilevato una prevalenza del 37,1%.2 In realtà si tratta di dati variabili da studio a studio, con valori che oscillano tra il 5% e il 70%: la reale prevalenza del disturbo è infatti difficile da stabilire a causa delle diverse definizioni negli studi, ma anche perché molte donne tendono a nascondere la loro condizione piuttosto che riportarla al medico, sia per l’imbarazzo che per l’errata convinzione che non ci siano rimedi1. È noto che il picco è raggiunto negli anni della menopausa3, tuttavia i dati di letteratura più recenti hanno evidenziato che la menopausa non esercita un effetto determinante e indipendente su segni e sintomi di incontinenza urinaria, sia da urgenza che da sforzo.4,5
Le cause e i fattori di rischio
L’incontinenza urinaria ha un impatto notevole sulla qualità di vita sociale, relazionale e sessuale, con importanti risvolti igienico-sanitari.6,7,8,9 È un fenomeno complesso, che riconosce una patogenesi multifattoriale. Tra i principali fattori di rischio vi sono l’età (si stima una prevalenza del 25% dopo i 65 anni), il sovrappeso, le gravidanze (il 50% delle puerpere soffre di UI, pur essendo in alcuni casi un fatto transitorio), le infezioni ricorrenti delle vie urinarie, alcune malattie croniche (diabete, sclerosi multipla), le condizioni di importante deterioramento cognitivo, la carenza estrogenica dopo la menopausa.1,2,3,7,8,10,11,12,13 La correlazione tra incontinenza urinaria e menopausa è oggetto di un vivace dibattito scientifico da diversi anni: non è facile infatti distinguere il ruolo della carenza estrogenica da quello dell’invecchiamento tissutale fisiologico nella patogenesi di questo disturbo.5
HRT, l’efficacia è dibattuta
La comune origine embriologica delle basse vie urinarie e dell’apparato genitale femminile dal tubercolo urogenitale e la dimostrata presenza di recettori per estrogeni e progesterone a livello vescico-uretrale, vaginale e del complesso muscolo-legamentoso del pavimento pelvico, rendono ragione dell’elevata sensibilità di tali strutture agli ormoni sessuali femminili.5,13,14 Sulla base di queste evidenze, e nell’ipotesi di un ruolo della carenza estrogenica post-menopausale nell’incontinenza urinaria, è stata valutata in passato l’efficacia dell’HRT in alcuni importanti studi randomizzati e meta-analitici.13,14,15 Tuttavia i risultati non sono stati conclusivi.14,16,17,18
Ruolo della menopausa nell’incontinenza urinaria: nuove evidenze
Studi recenti hanno disconfermato una correlazione esclusiva tra menopausa e peggioramento o nuova insorgenza dell’incontinenza urinaria, evidenziando come conseguenza l’inefficacia dell’HRT sistemica, in particolare nella forma da sforzo.5,16 Nelle forme di incontinenza da urgenza o miste, che sono prevalenti dopo la menopausa, spesso associate alla vescica iperattiva, sono efficaci gli estrogeni per via locale, che riducono le infezioni urinarie e migliorano il trofismo della mucosa vaginale, riducendo sintomi come pollachiuria, bruciore e dispareunia.5,19,20 Alcuni autori hanno evidenziato l’efficacia degli estrogeni somministrati per via locale sui sintomi da vescica iperattiva.4,5 Questo tipo di trattamento è molto ben accettato dalle donne e non è gravato dai rischi dell’HRT sistemica. Nella prevenzione e nel trattamento conservativo di questa condizione è utile anche la riabilitazione del pavimento pelvico, tuttavia non è facile ottenere l’aderenza nel lungo termine.21
L’importanza dell’informazione per l’aderenza terapeutica
È importante raccogliere sempre un’accurata anamnesi per valutare il rapporto rischio/beneficio personale in caso di assunzione di HRT, nonché le credenze e la propensione delle pazienti nei confronti della terapia sostitutiva, in quanto sono fattori che condizionano l’aderenza e l’outcome clinico. L’informazione deve essere il più possibile corretta e completa, ma al tempo stesso rassicurante.
Considerazioni conclusive
L’incontinenza urinaria femminile è un problema di grande rilevanza sociale oltre che igienico-sanitario. Molte donne sono restie nel riferire questo disturbo e non sanno che la prevenzione e il trattamento sono possibili. La patogenesi del disturbo è complessa e multifattoriale e i dati recenti non hanno confermato un ruolo esclusivo della menopausa. Attualmente non vi sono dati evidence-based che confermino l’efficacia dell’HRT sistemica in tutte le donne che lamentano questo disturbo; vi sono invece dati a favore dell’uso di estrogeni locali, che possono migliorare i sintomi da vescica iperattiva contribuendo a ristabilire il “comfort pelvico”.
In quali casi si può o si deve ricorrere alla chirurgia?
In moltissimi casi la chirurgia non deve essere la prima scelta terapeutica, ma presa in considerazione solo quando terapie mediche, comportamentali, dietetiche e la ginnastica per il pavimento pelvico (“esercizi di Kegel”) nel lungo termine non hanno dato risultati soddisfacenti. Oggi è possibile consigliare anche il nuovo trattamento con laser Erbium vaginale per l’incontinenza da sforzo. I risultati con questa terapia ambulatoriale e indolore sono sicuramente incoraggianti, tanto che oggi possiamo proporre il laser prima di qualsiasi approccio chirurgico.
Quali sono i rischi nell’impiego del laser Erbium?
Il trattamento laser Erbium in sostanza è privo di rischi e complicanze. Al contrario, i rischi della chirurgia dell’incontinenza oltre a quelli comuni a qualsiasi intervento chirurgico, legati all’anestesia, infezioni e complicazioni intraoperatorie, risiedono nel fallimento dell’intervento stesso e quindi nella persistenza dell’incontinenza urinaria. Anche per questo è logico proporre il trattamento laser prima dell’eventuale chirurgia.
Qual è la percentuale di successo e da cosa dipende?
Con la chirurgia si raggiungono percentuali di successo dell’80-90%, quindi sicuramente molto alte, ma non possiamo mai garantire che tutte le nostre pazienti dopo l’intervento saranno “asciutte”. Queste percentuali di successo sono tra l’altro sovrapponibili a quelle ottenibili con il trattamento laser vaginale. Per questa ragione è possibile provare, prima dell’intervento, tre sedute ambulatoriali.
Esistono trattamenti chirurgici minimamente invasivi?
Sicuramente oggi è possibile eseguire interventi meno invasivi che nel passato. La chirurgia tradizionale comportava tempi di recupero piuttosto lunghi, nell’ordine dei 20 giorni. Oggi le tecniche mini-invasive accorciano in maniera significativa la degenza della paziente offrendo, in ogni caso, soluzioni durature. Ciò consente di dimettere le pazienti dopo 1-2 giorni, se non nella giornata stessa dell’intervento. Nonostante questo nessun intervento chirurgico deve essere banalizzato e proposto con leggerezza.
Esiste una maggiore probabilità di sviluppare incontinenza dopo un’isterectomia. In quale misura? Perché? Quali sono i fattori predisponenti? Si può prevenire?
L’isterectomia rappresenta una delle procedure chirurgiche più comuni nelle donne, spesso eseguita per patologie benigne quali prolasso, fibromi ecc. Durante l’intervento invariabilmente si provocano delle dissezioni sui tessuti nervosi e di sostegno che possono provocare potenziali alterazioni delle relazioni anatomiche tra gli organi pelvici. L’associazione tra isterectomia e l’incontinenza urinaria è stata oggetto di dibattito negli ultimi 20 anni di letteratura, tuttavia mancano dati definitivi che dimostrino un rapporto causa-effetto. Alcune scuole oggi suggeriscono, quando possibile, un intervento che era caduto in disuso: l’isterectomia sub-totale. Consiste nell’asportazione del corpo uterino lasciando il collo dell’utero, nell’intento di non modificare il pavimento pelvico e quindi la continenza urinaria. In questo caso la donna deve essere disponibile a sottoporsi a regolare screening per la prevenzione il carcinoma cervicale. Tuttavia nemmeno per questa strategia sono disponibili dati che ne dimostrino l’efficacia nella prevenzione dell’incontinenza urinaria dopo l’intervento.
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